giovedì 18 settembre 2014

Il sesso degli angeli



E dunque sono finito, senza nanche capire come, ad impiegare in attività ad altissimo valore estetico l'esiguo tempo libero che mi rimane. Immagino che tutti abbiano un'attività preferita su cui investono, senza remora alcuna, parte dei propri risparmi. Ad esempio chi è interessato al sesso degli angeli potrebbe voler cercare di osservarli mentre vanno in bagno, magari guardando fra le nubi, e quindi decidere di mollare il binocolo di fabbrica cinese delle bancarelle ed acquistare un più potente telescopio, con gli opportuni filtri per non restare abbagliato dalla luce. E dal momento che esplorare tutto il cielo con un telescopio è opera alquanto lunga e tediosa, minacciata anche dal rischio che gli angeli burloni siano sempre altrove, si potrebbe scegliere un approccio diverso, come quello di chiedere al sagrestano della parrocchia sotto casa se durante il seminario gli abbiano mai rivelato che sesso hanno gli angeli. O rivolgere la domanda a qualche pilota di linea. Oppure, più semplicemente, cercare la risposta su di un motore di ricerca inflazionato, ad esempio google, fidandosi della risposta fornita dal primo collegamento nella seconda pagina dei risultati, che del resto lo sanno tutti che la prima pagina ospita soltanto consigli per gli acquisti mascherati sotto forma di pagine web. Raffinando la ricerca, si potrebbero ispezionare i siti a contenuto voyeuristico, e con un po' di fortuna si troverà almeno un'immagine degli angeli beccati con le proprie vergogne al vento.

Da un po', dicevo, l'attività che assorbe le mie energie residue è la pulizia della camicie. Sono partito dal voler eliminare una piccola macchia di sugo e sono passato attraverso la sperimentazione di diversi detersivi, molteplici additivi con tensioattivi anionici e cationici, con e senza perborato, prodotti da multinazionali che ne testano il potere sbiancante sulla pelle dei bambini neri. Ho anche testato detersivi acquistati sul banchetto della fiera fricchetona. Ho lavato la camicia a mano, in lavatrice, nella lavatrice del vicino ed infine, deluso, ho deciso di comperare persino una nuova, di lavatrice. Ho letto pagine enciclopediche sulla coltivazione del cotone, la sua raccolta, il commercio e la produzione dei tessuti. Il tutto, è bene ricordarlo, finalizzato a trovare la combinazione giusta di detersivo/tecnica di lavaggio che smacchi e sbianchi per bene il mio capo d'abbigliamento, ma al contempo non ne rovini la pregiata fibra. Deve essere impeccabilmente pulita e come nuova. Tralascio, per non tediare il lettore, la fase di stiratura. 

Orbene, ogni volta che penso di possedere quella che mi sembra essere la soluzione perfetta, indosso la camicia trattata e vado a fare una passeggiata fingendo noncuranza, ma dietro gli occhiali da sole specchiati osservo la reazione di tutte le persone che incrocio, preparandomi a rispondere alle domande di chi, dotato di buon occhio, riesca a cogliere l'altissima qualità del lavoro da me realizzato e mi ponga domande per saperne di più. Ma questo non avviene mai, e quindi torno a casa amareggiato e decido di mollare definitivamente il progetto. Salvo poi, dopo qualche giorno, di nuovo testare l'ennesima variante alla ricetta,  per esempio aggiungendo 30 millilitri di olio di gomito nella vaschetta del detersivo.

giovedì 23 maggio 2013

venerdì 27 gennaio 2012

The Future Ain't What It Used to Be

Il lavoro. Non capisco se sono l'unico fesso che ha un lavoro ma ne farebbe volentieri a meno. Pare che il resto delle persone protesti per avere lavoro quando non l'ha e per non perderlo quando ce l'ha. Che non mi piaccia il mio lavoro gliel'ho già detto al dottore ma pare non ci sia molto da fare. 

- Cosa c'è che non va, ancora? 

Quando si pianifica, durante le riunioni, sono fanciullescamente entusiasta ed approvo sempre tutto. Poi le cose cambiano quando devo passare a realizzarli, i progetti: ne ho fastidio e schifo. Insomma il mio lavoro mi piace in teoria e mi schifa in pratica. Ma le rare volte in cui mi piace penso che sarei un folle a lasciarlo. 

- E perché? 

Ma si, perché "la crescita", "le opportunità, "lo stipendio", "la stabilità", "là fuori uccidono per molto meno di un biglietto da dieci", "vuoi mangiare o frugare nei cassonetti?", eccetera eccetera. Ecco in quegl'istanti, brevi come il lampo di lucidità che attraversa la mente dell'ubriaco quando realizza il suo stato alterato, la vita da ufficio non sembra neanche così male: la sedia, ad esempio, molto comoda, certamente meglio di quella fastidiosa su cui sedevo al mio precedenete impiego. Quella si spacciava per ergonomica ma in realtà l'imbottitura si rivelava esile e la struttura in plastica interna fiaccava vertebre della schiena ed osso sacro. Ma nonsolosedia: ci sono i caffè un tantino sospetti della Nespresso Machine, sorseggiati sognando cocktail-parties esclusivi come quelli di George Clooney, chiedendosi what else serva per essere così figo. Ci sono poi pranzi di plastica consumati davanti al monitor e come dimenticare a fine giornata gli occhi liquefatti da 10 ore di esposizione al doppio monitor LCD. E mentre tutto questo si ripete quotidianamente, fuori piove e c'è il sole, e le ragazze si baciano con i ragazzi sotto i rami degli alberi. I gremlins vestiti di rosso sbucano da fessure nell'asfalto e multano senza nessuna pietà le auto parcheggiate con disco orario scaduto. Neppure la pioggia li lava via, questi dannati esseri. 

Fuori di casa al mattino e di nuovo a casa la sera. È buio, mi restano tre ore di veglia per far più o meno tutto. Tre ore su ventiquattro. Così cinque giorni a settimana. Intanto fuori c'è la neve, strade silenziose e freddo cane. Ma nevica.

- E i colleghi? 

I colleghi. Siamo amici o no? non l'ho mai capito. Certamente nemici con gli stagisti. Ma non per partito preso. Più che altro per l'arrivismo, ed io a fatica sopporto chiunque voglia farsi per forza notare da tutti. Non c'è bisogno di essere sempre plateali. C'è il palco da teatro e gli applausi del pubblico per quello. Se vuoi eccellere qui, fallo pure, ma in silenzio per cortesia. Poco rumore, piano, profilo basso. Mai sentito la teoria secondo cui se ti agiti troppo qui scateni un tornado in Australia? Ecco, riga dritto. Stagisti a parte, puoi mai essere amico del capoufficio? No, perché potrebbe arrivare a chiederti di restare a lavorare, in amicizia. Colcazzo.

- Ma se lo fa già, con la minaccia di licenziarti, per inefficienza. Non in maniera esplicita, naturalmente, ma questo tu lo sai, lui sa che tu ne sei cosciente e tanto basta. 

Il pensiero effettivamente c'è, ma da piccolo ho fatto polio, antidifterico-tetanica-pertosse, epatite B e sindrome di Stoccolma: sono vaccinato. 

- Gli altri? 

Ma gli altri non sono realmente colleghi, loro sono diversi da me perché amano il loro lavoro. Sono sovra-efficienti. A quei livelli il lavoro non può essere la corsa contro il tempo per completare le scartoffie piuttosto deve trattarsi di uno strano piacere nel realizzare qualcosa che si sente proprio, un po' come le domeniche a far del bricolage in cantina.

- Ah, il bricolage domenicale. La vuoi la smerigliatrice nuova?  

No, quella che mi ha dato Gino funziona benissimo e poi ancora non la vuole indietro. Però avrei bisogno di nuove punte per il trapano. 

- Le dovrai pur comprare. Non avendo vinto alla lotteria devi guadagnarti i soldi, perciò, tuo malgrado, la-vo-ra-re! Punta la sveglia: setteetrenta, lunedì-venerdì, che sei pure fortunato, c'è chi si alza alle cinqueetrenta per lavorare. Con lo zero davanti al cinque.

Cazzi loro. 

- Saranno cazzi loro ma non si lamentano come te. Hanno una vita ben più dura della tua e perciò apprezzano maggiormente il tempo libero

Ora d'aria in carcere. Non fa una piega. Saranno probabilmente dei cinesi. 

- Può darsi, ma intanto i cinesi tengono per le palle l'occidente. Hanno comperato il debito pubblico degli Stati Uniti e dell'Europa. Comprano le vostre attività. Ti piaceva andare a mangiare nell'unico ristorante cinese in città quando avevi 14 anni? Ti sembrava figo, vero? Adesso sono ovunque. Trovami invece una buona trattoria tipica italiana. Che ti sembra? Guarda che quelli lavorano sette giorni su sette. Te invece al venerdì sera e al sabato esci e ti svaghi. Poi domenica bricolage tutto il giorno, mica male...

Intanto fuori dall'ufficio è estate, c'è il sole ed il cielo è azzurro intenso. Le ragazze vanno in giro in bici ed io vorrei essere i loro capelli.

Dai Grande Capo, rimettiti in forze che scappiamo via! Là, dove le strade deserte dei pomeriggi bollenti d'agosto erano un concerto di cicale: che musica quel frinire, Grande Capo! Andiamo via, lontano, dove vivevamo la notte fino a quando l'entusiasmo ci aveva consumato tutte le energie. Si tornava a casa al mattino, stanchi e contenti. Grande Capo, non facevamo molto, ma c'era qualcosa di diverso, la vita aveva uno strano, piacevole ed inebriante profumo. Che fine ha fatto, quello che si spacciava per essere il migliore dei mondi possibili?


giovedì 24 giugno 2010

Terza di copertina

Un giorno la donna di cui sono innamorato (chiedo scusa per questa debolezza, non succederà mai più) e per la quale ho perso la testa tira fuori un'arma dalla borsetta e mi pianta tre colpi in petto. Intendo tre colpi di pistola, e lo fa quando la mia fiducia è ai massimi livelli, un po' come capita al tacchino il giorno prima che gli si tiri il collo, quando è contento e fiducioso verso l'essere umano che continua a prendersi cura di lui, con grandi quantità di acqua e cibo. Tre colpi che però non uccidono. D'accordo non è andata proprio così ma non cambia di molto la sostanza. In preda al panico chiamo Telefono Amico. Mi risponde un tale che prima mi ascolta ma poi sbuffa e riattacca con un "Le sta bene: lei è un uomo orribile. Se prova a richiamare la denuncio alle autorità competenti". Poi un 899 a caso. Qui l'operatrice mi interrompe suggerendomi "Trovati un'altra donna" e fa cadere la linea. La fa facile lei, pagata per ascoltare solo 1 minuto e 30 secondi. Contatto il mio peggiore amico che mi dice "Cose che capitano" e mi tiene mezz'ora al cellulare parlandomi invece dei suoi problemi. Infine altri personaggi davvero okkei gioiscono per la mia ritrovata libertà. Mi invitano ad uscire, mi convincono che ora posso finalmente divertirmi, si ubriacano e poi mi salutano. Devono tornare ad illudere le loro rispettive compagne.

Per strada le donne sono tutte diffidenti, quando le incrocio sono sempre a guardare attentamente per terra, preoccupate di non pestare cacche di cani oppure al telefono, con i loro innumerevoli amanti. Sono in molte quelle che guardano fisso il punto di fuga. Ma le capisco, laureate in archittettura che valutano le prospettive dei palazzi o neomodelle che si stanno sforzando di camminare in linea retta. Allenamento per la passerella. Poi di quelle che se per caso mi trovo a camminar loro dietro, si fermano alla prima vetrina, fosse anche una macelleria araba ed osservano attentamente i prezzi dei tagli di carne, perché temono che io sia un maniaco sessuale violentatore che le sta pedinando. Stringono la borsetta con due mani quando le raggiungo e le sento trattenere il fiato mentre osservano con la coda dell'occhio le mie mosse. Ma state pur tranquille, mi fate schifo, ci tengo alla mia salute e non vi sfioro neanche con lo sguardo. Restate imprigionate nelle vostre paure che così si, vivrete meglio.

Al telegiornale dicono che è in forte aumento il numero di coppie che si conoscono su internet. Per chi ha orecchie c'è sempre da imparare dai telegiornali. Altro che legge bavaglio. Pare che ora, nel 21 secolo, gli incontri si fanno prima sui social network, si chiacchiera attraverso una tastiera sostituendo ch con k, per con x, più con +, rimuovendo le inutili vocali tra due consonanti e sbellicandosi di LOL. I più audaci con ROTFL. Ma quello non tutti lo capiscono. Ci si vede in bassa qualità con una telecamera a 0.5 Hz e ci si ascolta tagliando via le basse frequenze tanto non servono allo scopo; poi eventualmente si passa alla realtà non virtuale. Tant'è. Mi iscrivo quindi a diverse di queste piazze virtuali per far conoscenze. Completo il profilo con una mia foto e comincio a sfogliare i profili delle persone collegate.

Contatto un centinaio di donne scegliendo tra le più avvenenti in fotografia. Mi rispondono solo in due. Una di queste è un transessuale che mi propone di sperimentare nuovi limiti, dell'altra invece scopro in seguito che la foto nel profilo non è di lei in completino intimo bensì di una modella di Victoria Secret. Un'altra venditrice di illusioni a buon mercato. Tento di far conoscenza scrivendo "Ciao vuoi chattare?" anche se italianizzare questo verbo inglese mi fa venire la nausea. Ma l'insuccesso di questo inizio molto debole è evidente. Le frasi ad effetto le leggo nei commenti dei maschi alle foto delle loro prede: è un rimpasto sdolcinato-trash estremamente kitsch. Ed è sicuramente a questi che le frequentatrici dei social network rispondono. A questi maschioni che si ritraggono con ampi toraci depilati, seminudi ma con occhiali da sole e la mano maliziosamente posata sul pacco avvolto in bianchissimi slip firmati Roberto Cavalli o Giorgio Armani, coi muscoli scolpiti ed incapaci di evitare un'errore di ortografia in tre righe di testo. L'errore di ortografia è così trendy, così sexy! Che condensato di sfiga sociale.

E' difficile voltare pagina quando dopo c'è soltanto la terza di copertina.

lunedì 3 maggio 2010

Interruzione trasmissioni

Ci scusiamo con gli affezionati lettori ma il blog è temporaneamente sospeso, in attesa di momenti migliori.

mercoledì 24 marzo 2010

Lenta dissolvenza

Ultimamente devo essere morto senza però accorgermene. Il telefono non squilla più, niente più inviti, persino il mio principale a lavoro saranno due settimane che non mi piomba in ufficio a smollarmi del lavoro. Non che quest'ultima cosa guasti, ma fa comunque pensare. La mattina quando mi sveglio ho preso l'abitudine a recitarmi un "BUONGIORNO, BELLA GIORNATA EH?" per essere sicuro di avere ancora voce ed udito funzionanti. Pare di si. Allora non sono morto del tutto, forse sono solo intermittente, come le lucine degli addobbi natalizi: 20 secondi spente, 2 secondi accese. Più aldilà che aldiqua. Sono in lenta dissolvenza, fading out.

Ho iniziato a pensarci proprio ieri mentre facevo la fila dall'edicolante per comperare il biglietto dell'autobus. Ma altro che fila, questo deficiente è lì al suo posto ma io per lui semplicemente non esisto. Sta farfugliando qualcosa ad una ragazza con una capigliatura a caschetto un po' retrò e con valigia al seguito che è lì ferma senza né comperare né sfogliare giornali. Si sussurrano concetti. Siccome io ho fretta, mi muovo nel campo visivo del pesce lesso e gli lancio gelide occhiate ma quello continua ad ignorarmi. Io perdo l'autbous e lui lì magnetizzato dalla stronzetta. Pare che debbano flirtare proprio in questo momento. Allora invado lo spazio dell'inopportuno: l'autobus l'ho perso ma almeno sentirò le porcate che hanno da dirsi. Così capto il senso del discorso: lei gli stava chiedendo di tenerle da parte qualcuna di quelle riviste per deficienti, tipo Cioé o simili. Tant'è che lo apostrofa andandosene via "...e non venderle alle ragazzine!" e lui "Stai tranquilla, te li tengo da parte!". Povero ragazzo, brutto e con gli occhiali, non hai nessuna chance con caschetto-retrò, non vedi che è solo interessata alla sua collezione di Top Girl? Tu le servi solo per questo. Voglio dire... non avreste chance neanche come coppia: te sempre lì nel tuo chiosco e lei sempre di corsa in partenza per Milano. Il massimo che potreste concedervi è qualche quarto d'ora quando il treno è in ritardo. Perciò accidenti a tutti e due, speravo almeno nel finale coi botti invece i vostri sogni di coppia non si avvereranno. Come sempre, del resto, mica siamo in un film! Siete del tutto inutili, buoni solo ad intristire i passanti. Perciò amico svegliati, i violini non suonano più, ora c'è il mio brutto muso da affrontare, dammi sto cazzo di biglietto così mi liquido da questa scenetta opprimente.

Compro il biglietto inutile e torno a piedi. Molto razionale. Ma che senso aveva prendere l'autobus? Arrivare prima a casa, ovviamente, per poter cenare prima e così andare a letto prima, magari alzandosi poi prima la mattina per andare... si, per andare a lavorare prima, e poter rientrare a casa prima e... continuando così non potrei che arrivare prima persino all'appuntamento con la morte. Quindi calma, da adesso mi prendo tutto il tempo che voglio. Arriverò a casa tardi e cenerò tardi, almeno mi sembrerà di avere avuto una giornata bella piena. Tardi pure la mattina a lavoro lasciando immaginare ai colleghi le mie serate frizzanti. Non c'è più alcuna fretta. Riempirò il vuoto con ritardi. Forze per fare altro al momento non ce ne sono: i remi li ho ritirati in barca. Non ha senso remare sperduti in mezzo al mare quando non c'è porto verso cui navigare. Spengo del tutto le lampadine, che Natale è passato da un pezzo.

mercoledì 3 marzo 2010

Buonappetito

Cosa dire di quelli che mangiano da soli nei ristoranti? Che spesso poi sono anche quelli meglio conosciuti dal personale e dal proprietario: li vedete mentre arrivano, salutano il cameriere, il quale li fa accomodare sempre allo stesso tavolino da due posti e retoricamente domanda: "Cosa prende oggi, dottò?". Costoro non hanno bisogno di scorrere il menù e scegliere, già sanno cosa ordinare, perché il ristorante è sempre lo stesso e anche la varietà dei piatti nella carta dei cibi. Scommetto che sono gli habitué de "IL PIATTO DEL GIORNO". Quindi, inoltrata la prevedibile richiesta, aspettano l'ordine leggendo il giornale o fingendo di conversare al telefono per darsi un tono di importanza. Direi che c'è un perché a tutto questo.

Non è certamente facile né tantomeno piacevole entrare, sedersi, ordinare e mangiare sentendosi addosso gli occhi di tutti quelli che invece pasteggiano in compagnia di altri esseri umani, conversano, ridono e magari si fanno anche piedino sotto il tavolo. C'è poco da fare, amplifica il senso di solitudine. Mangiare da soli in un luogo pubblico è come dichiarare una momentanea sconfitta sociale: non si ha nessuno con cui condividere un momento della giornata in cui la stragrande maggioranza degli altri esseri umani che mangia fuori casa è in compagnia. Il che può avere diverse cause: l'essere in terra straniera, cosa mai totalmente piacevole (a meno di non essere turista ai tropici) ma, tolte le rare eccezioni, è una di quelle condizioni che tradisce difficoltà nelle relazioni umane. Neanche un amico o un collega di lavoro con cui dividere la pausa pranzo? La gente che vi vede da soli al ristorante già vi ha giudicato ed inquadrato, impossibile intentare un discorso di difesa: siete dei disagiati.

Ed allora eccoli, che tornano sempre allo stesso ristorante, ora che hanno familiarizzato con il posto e fanno finta invece di non avere problemi. Arrivano a convincersi che non è vero che sono da soli: loro conoscono i camerieri e il titolare quindi sono certamente più degni di sedersi al tavolo di chiunque altro. I camerieri lo sanno e li servono fingendo amicizia, perché di fatto sperano nella lauta mancia ma dentro, in cucina, se la ridono con i cuochi: "oh, c'è il solito... si anche oggi solo!".

I ristoratori poi ci mettono del loro cercando di far pesare di meno all'avventore solitario la sua triste condizione ma di fatto la enfatizzano ancora di più. Fate caso che i tavoli da due posti (ovvero da un posto) sono sempre alle estremità delle stanze, lungo le pareti, dietro gli angoli, dietro le piante ornamentali, mai in posizione centrale o luoghi dove è possibile vedere ed essere visti da gran parte della sala.

"Cerchiamo di far sentire a suo agio il cliente, sia se in compagnia sia se da solo", risponde il rubicondo gestore al perché del nostro inviato. Grazie, bel modo di risolvere il problema. Lasciare che i tristi solitari restino tristi solitari e vengano tenuti ai margini della "piazza" del ristorante altro non è che il loro modo di giudicarli diversi e quindi emarginarli.

Per porre un vero rimedio a tutto questo imbarazzo propongo di affiancare l'immagine dell'uomo solitario a quella del cane nel cartello "IO NON POSSO ENTRARE" che si appone all'ingresso dei ristoranti. Così sarà interdetto loro l'accesso e la smetterò di provare compassione vedendoli con lo sguardo perso dentro al piatto. Magari faranno amicizia fuori con i cani che non possono entrare. Che poi l'uomo solitario è proprio come il cane: anche lui è stato abbandonato in autostrada d'estate, quando tutti vanno a divertirsi. Ha le ore contate e morirà di sete o ben che gli vada investito da un TIR. Tanto vale che trascorrano assieme le vacanze in autostrada e per essere più compassionevoli facciamo che cani e i solitari possono, previa iscrizione all'associazione di categoria, entrare e consumare non più di un pasto al giorno, ma solo se non dormono dentro un Ducato e se si fanno almeno una doccia al giorno.

Io piuttosto di andare al ristorante da solo mi convinco che è meglio digiunare, tanto farà bene all'organismo. Oppure entro al supermercato e compro una confezione di biscotti al burro di arachidi, di quelli che con un paio ci sfami una famiglia intera di messicani. Alla cassiera che mi scruta col suo sguardo miope sorrido un po' forzatamente e dico che avevo dimenticato di comprare i biscotti per il té pomeridiano, poi mentre faccio ritorno al posto di lavoro placo i crampi allo stomaco mangiandone uno dietro l'altro fino a stare male. Punizione per non avere nessuno con cui andare al ristorante.

Per non parlare di chi cena al ristorante da solo. Dico la sera, quando il ristorante è frequentato da comitive di amici o al più da coppie di innamorati. Cenare da soli è proprio il massimo del disagio. La cena di lavoro non rientra negli schemi, quindi è inutile che vi difendiate con un "Io lavoro in proprio: sono impresario di me stesso e questa che sto facendo è una cena di lavoro". I camerieri vi riconsceranno al primo contatto visivo e se provate a fare i furbetti vi incalzeranno domande del tipo "Allora come vanno gli affari?" "Ah lei è uno scrittore? e di cosa parla il suo ultimo lavoro?". Sicché la cena diventerà un interrogatorio, capirete di essere stati smascherati e non potrete sfamarvi con calma. Mai pensare di essere più scaltri di chi vi serve il piatto.