mercoledì 27 gennaio 2010

Lettera dal fronte

Si lavora tutta la settimana ma, cari miei, è a partire da venerdì che le cose si fanno interessanti. Giunge voce, infatti, che le consegne avranno luogo probabilmente venerdì in tarda serata ed uno stato febbrile inizia a serpeggiare rapidamente tra la gente. Sono l'uomo sul posto e vi descriverò pertanto gli eventi a partire dal pre-allerta. Dunque venerdì mattina gli ufficiali distribuiscono gli ordini ai sottufficiali i quali piazzano le vedette in posizione, colpo in canna e dose extra di eccitanti. Fuoco a vista su chi non risponde alla parola d'ordine (qualche sigla strana contenente le lettere C, M e K. Ma non provate ad usarla, l'intelligence informa che l'hanno cambiata). Durante tutta la giornata di venerdì si aspetta soltanto. Anche di sabato non accade nulla, ma che nessuno si azzardi ad abbandonare i posti di combattimento! Infine domenica mattina, verso le 5, con le sentinelle ancora ben sveglie ecco che accade. Inaudito, super entusiasmo! Il figlioul prodigo si lamenta col padre perché c'è stata più festa qui di quanta non se n'è fatta per il suo ritorno. Questa è Storia! Siamo nella Storia, quella vera, quella che entra nei libri che studiano i ragazzi nelle scuole! Domenica, com'è naturale, tutto il giorno ancora sul pezzo. Si respira aria da evento epocale. Ma dopo la prima ondata ecco una pausa e si attende la seconda... Attesa fobica e rabbiosa, con attacchi epilettici, convulsioni e schiuma alla bocca. Attesa col fiato tirato, da ultimo calcio di rigore alla finale della Coppa del Mondo. Attesa spasmodica, da centometrista sui blocchi di partenza con l'orecchio teso allo sparo. Attesa da prossima dose in vena.

Il sottoscritto si limita ad osservare col binocolo e resta in retroguardia. Diciamo pure imboscato. Non voglio essere contagiato da questa fobia generalizzata, ci tengo alla mia salute. Disillusione mista a disincanto e a maggior senso della realtà. Non condivisione di obiettivi e priorità con il resto della truppa. Che ci sto a fare qui? Farebbero bene a buttarmi fuori.

sabato 16 gennaio 2010

256 livelli di grigio

Ho in mente una serie di immagini e ve le descrivo.
La prima: buio fitto e silenzioso, non importa definire il posto. Uno specchio di grandi dimensioni e senza cornice cadendo da chissà dove arriva velocemente al suolo. Attimi prima dell'impatto il tutto rallenta in modalità slow motion. Ed è così che riesco a vedere come la sua superficie perfettamente liscia e levigata viene solcata da rapide righe che l'attraversano da parte a parte finché l'intera struttura esplode producendo il caratteristico suono del vetro infranto.

Avete notato che quando si rompe un oggetto di vetro la gente si gira più o meno inconsapevolmente a guardare cos'era? Qualche volta osservo gli occhi dei curiosi che si voltano e mi pare di intravvedere un lampo di tristezza per ciò che l'oggetto rotto era fino ad un istante prima, magari un elegante bicchiere di cristallo, e che ora è in frantumi, irreparabile. Prendetevela con il secondo principio della termodinamica.

L'altra scena ha una localizzazione più precisa. E' una steppa disabitata. Il sole pallido abbastanza basso sull'orizzonte non può assolutamente nulla contro l'intenso freddo che domina la desolazione. Le scarsa vegetazione è completamente congelata. Il vento gelido spazza la distesa e solleva finissimi cristalli di ghiaccio da terra che turbinano seguendo le folate. Questa immagine è così vivida che sento freddo nonostante mi trovi al chiuso. Oggi fa un freddo porco, altro che riscaldamento globale. Fa freddo, credete a me.

Cambio di scena, ora ci sono i palazzi grigi di periferia, possibilmente quelli da 10-15 piani, quelli che sembrano enormi scatole di scarpe messe in verticale e con le finestre.
Periferia in una giornata umida di tardo autunno ma attenzione perché non ci sono gli alberi a colorare di rosso e giallo con le loro foglie ormai staccate, no, non c'è il conforto della natura, seppur morente. Le rondini sono già migrate. I bambini non giocano a pallone, nessuno passeggia, le panchine sono pezzi di metallo arrugginiti che si godono le tonalità di grigio dei palazzi. Tutto qui? Si tutto qui. Diciamo pure 256 livelli di grigio.

L'ultima scena è più che altro un misto di sensazioni: il panico immediato del bambino quando realizza che ha perso i genitori nella folla frammisto a ciò che prova la preda quando, immobilizzata dal cacciatore, perde ogni speranza. Questo è ciò che provo e che, come tutto il resto, non so descrivere bene a parole.

Ah, dimenticavo. Sul muro del palazzone grigio un ragazzo col cappuccio, che non mi sembra Bansky a giudicare dallo stile dei suoi graffiti, ha appena scritto "IL PRECARIATO UCCIDE". "Bella scoperta!" gli ho gridato. Lui si è girato, mi ha guardato negli occhi e lentamente ha annuito con la testa. Ha capito che capivo.