mercoledì 24 marzo 2010

Lenta dissolvenza

Ultimamente devo essere morto senza però accorgermene. Il telefono non squilla più, niente più inviti, persino il mio principale a lavoro saranno due settimane che non mi piomba in ufficio a smollarmi del lavoro. Non che quest'ultima cosa guasti, ma fa comunque pensare. La mattina quando mi sveglio ho preso l'abitudine a recitarmi un "BUONGIORNO, BELLA GIORNATA EH?" per essere sicuro di avere ancora voce ed udito funzionanti. Pare di si. Allora non sono morto del tutto, forse sono solo intermittente, come le lucine degli addobbi natalizi: 20 secondi spente, 2 secondi accese. Più aldilà che aldiqua. Sono in lenta dissolvenza, fading out.

Ho iniziato a pensarci proprio ieri mentre facevo la fila dall'edicolante per comperare il biglietto dell'autobus. Ma altro che fila, questo deficiente è lì al suo posto ma io per lui semplicemente non esisto. Sta farfugliando qualcosa ad una ragazza con una capigliatura a caschetto un po' retrò e con valigia al seguito che è lì ferma senza né comperare né sfogliare giornali. Si sussurrano concetti. Siccome io ho fretta, mi muovo nel campo visivo del pesce lesso e gli lancio gelide occhiate ma quello continua ad ignorarmi. Io perdo l'autbous e lui lì magnetizzato dalla stronzetta. Pare che debbano flirtare proprio in questo momento. Allora invado lo spazio dell'inopportuno: l'autobus l'ho perso ma almeno sentirò le porcate che hanno da dirsi. Così capto il senso del discorso: lei gli stava chiedendo di tenerle da parte qualcuna di quelle riviste per deficienti, tipo Cioé o simili. Tant'è che lo apostrofa andandosene via "...e non venderle alle ragazzine!" e lui "Stai tranquilla, te li tengo da parte!". Povero ragazzo, brutto e con gli occhiali, non hai nessuna chance con caschetto-retrò, non vedi che è solo interessata alla sua collezione di Top Girl? Tu le servi solo per questo. Voglio dire... non avreste chance neanche come coppia: te sempre lì nel tuo chiosco e lei sempre di corsa in partenza per Milano. Il massimo che potreste concedervi è qualche quarto d'ora quando il treno è in ritardo. Perciò accidenti a tutti e due, speravo almeno nel finale coi botti invece i vostri sogni di coppia non si avvereranno. Come sempre, del resto, mica siamo in un film! Siete del tutto inutili, buoni solo ad intristire i passanti. Perciò amico svegliati, i violini non suonano più, ora c'è il mio brutto muso da affrontare, dammi sto cazzo di biglietto così mi liquido da questa scenetta opprimente.

Compro il biglietto inutile e torno a piedi. Molto razionale. Ma che senso aveva prendere l'autobus? Arrivare prima a casa, ovviamente, per poter cenare prima e così andare a letto prima, magari alzandosi poi prima la mattina per andare... si, per andare a lavorare prima, e poter rientrare a casa prima e... continuando così non potrei che arrivare prima persino all'appuntamento con la morte. Quindi calma, da adesso mi prendo tutto il tempo che voglio. Arriverò a casa tardi e cenerò tardi, almeno mi sembrerà di avere avuto una giornata bella piena. Tardi pure la mattina a lavoro lasciando immaginare ai colleghi le mie serate frizzanti. Non c'è più alcuna fretta. Riempirò il vuoto con ritardi. Forze per fare altro al momento non ce ne sono: i remi li ho ritirati in barca. Non ha senso remare sperduti in mezzo al mare quando non c'è porto verso cui navigare. Spengo del tutto le lampadine, che Natale è passato da un pezzo.

mercoledì 3 marzo 2010

Buonappetito

Cosa dire di quelli che mangiano da soli nei ristoranti? Che spesso poi sono anche quelli meglio conosciuti dal personale e dal proprietario: li vedete mentre arrivano, salutano il cameriere, il quale li fa accomodare sempre allo stesso tavolino da due posti e retoricamente domanda: "Cosa prende oggi, dottò?". Costoro non hanno bisogno di scorrere il menù e scegliere, già sanno cosa ordinare, perché il ristorante è sempre lo stesso e anche la varietà dei piatti nella carta dei cibi. Scommetto che sono gli habitué de "IL PIATTO DEL GIORNO". Quindi, inoltrata la prevedibile richiesta, aspettano l'ordine leggendo il giornale o fingendo di conversare al telefono per darsi un tono di importanza. Direi che c'è un perché a tutto questo.

Non è certamente facile né tantomeno piacevole entrare, sedersi, ordinare e mangiare sentendosi addosso gli occhi di tutti quelli che invece pasteggiano in compagnia di altri esseri umani, conversano, ridono e magari si fanno anche piedino sotto il tavolo. C'è poco da fare, amplifica il senso di solitudine. Mangiare da soli in un luogo pubblico è come dichiarare una momentanea sconfitta sociale: non si ha nessuno con cui condividere un momento della giornata in cui la stragrande maggioranza degli altri esseri umani che mangia fuori casa è in compagnia. Il che può avere diverse cause: l'essere in terra straniera, cosa mai totalmente piacevole (a meno di non essere turista ai tropici) ma, tolte le rare eccezioni, è una di quelle condizioni che tradisce difficoltà nelle relazioni umane. Neanche un amico o un collega di lavoro con cui dividere la pausa pranzo? La gente che vi vede da soli al ristorante già vi ha giudicato ed inquadrato, impossibile intentare un discorso di difesa: siete dei disagiati.

Ed allora eccoli, che tornano sempre allo stesso ristorante, ora che hanno familiarizzato con il posto e fanno finta invece di non avere problemi. Arrivano a convincersi che non è vero che sono da soli: loro conoscono i camerieri e il titolare quindi sono certamente più degni di sedersi al tavolo di chiunque altro. I camerieri lo sanno e li servono fingendo amicizia, perché di fatto sperano nella lauta mancia ma dentro, in cucina, se la ridono con i cuochi: "oh, c'è il solito... si anche oggi solo!".

I ristoratori poi ci mettono del loro cercando di far pesare di meno all'avventore solitario la sua triste condizione ma di fatto la enfatizzano ancora di più. Fate caso che i tavoli da due posti (ovvero da un posto) sono sempre alle estremità delle stanze, lungo le pareti, dietro gli angoli, dietro le piante ornamentali, mai in posizione centrale o luoghi dove è possibile vedere ed essere visti da gran parte della sala.

"Cerchiamo di far sentire a suo agio il cliente, sia se in compagnia sia se da solo", risponde il rubicondo gestore al perché del nostro inviato. Grazie, bel modo di risolvere il problema. Lasciare che i tristi solitari restino tristi solitari e vengano tenuti ai margini della "piazza" del ristorante altro non è che il loro modo di giudicarli diversi e quindi emarginarli.

Per porre un vero rimedio a tutto questo imbarazzo propongo di affiancare l'immagine dell'uomo solitario a quella del cane nel cartello "IO NON POSSO ENTRARE" che si appone all'ingresso dei ristoranti. Così sarà interdetto loro l'accesso e la smetterò di provare compassione vedendoli con lo sguardo perso dentro al piatto. Magari faranno amicizia fuori con i cani che non possono entrare. Che poi l'uomo solitario è proprio come il cane: anche lui è stato abbandonato in autostrada d'estate, quando tutti vanno a divertirsi. Ha le ore contate e morirà di sete o ben che gli vada investito da un TIR. Tanto vale che trascorrano assieme le vacanze in autostrada e per essere più compassionevoli facciamo che cani e i solitari possono, previa iscrizione all'associazione di categoria, entrare e consumare non più di un pasto al giorno, ma solo se non dormono dentro un Ducato e se si fanno almeno una doccia al giorno.

Io piuttosto di andare al ristorante da solo mi convinco che è meglio digiunare, tanto farà bene all'organismo. Oppure entro al supermercato e compro una confezione di biscotti al burro di arachidi, di quelli che con un paio ci sfami una famiglia intera di messicani. Alla cassiera che mi scruta col suo sguardo miope sorrido un po' forzatamente e dico che avevo dimenticato di comprare i biscotti per il té pomeridiano, poi mentre faccio ritorno al posto di lavoro placo i crampi allo stomaco mangiandone uno dietro l'altro fino a stare male. Punizione per non avere nessuno con cui andare al ristorante.

Per non parlare di chi cena al ristorante da solo. Dico la sera, quando il ristorante è frequentato da comitive di amici o al più da coppie di innamorati. Cenare da soli è proprio il massimo del disagio. La cena di lavoro non rientra negli schemi, quindi è inutile che vi difendiate con un "Io lavoro in proprio: sono impresario di me stesso e questa che sto facendo è una cena di lavoro". I camerieri vi riconsceranno al primo contatto visivo e se provate a fare i furbetti vi incalzeranno domande del tipo "Allora come vanno gli affari?" "Ah lei è uno scrittore? e di cosa parla il suo ultimo lavoro?". Sicché la cena diventerà un interrogatorio, capirete di essere stati smascherati e non potrete sfamarvi con calma. Mai pensare di essere più scaltri di chi vi serve il piatto.