giovedì 24 giugno 2010

Terza di copertina

Un giorno la donna di cui sono innamorato (chiedo scusa per questa debolezza, non succederà mai più) e per la quale ho perso la testa tira fuori un'arma dalla borsetta e mi pianta tre colpi in petto. Intendo tre colpi di pistola, e lo fa quando la mia fiducia è ai massimi livelli, un po' come capita al tacchino il giorno prima che gli si tiri il collo, quando è contento e fiducioso verso l'essere umano che continua a prendersi cura di lui, con grandi quantità di acqua e cibo. Tre colpi che però non uccidono. D'accordo non è andata proprio così ma non cambia di molto la sostanza. In preda al panico chiamo Telefono Amico. Mi risponde un tale che prima mi ascolta ma poi sbuffa e riattacca con un "Le sta bene: lei è un uomo orribile. Se prova a richiamare la denuncio alle autorità competenti". Poi un 899 a caso. Qui l'operatrice mi interrompe suggerendomi "Trovati un'altra donna" e fa cadere la linea. La fa facile lei, pagata per ascoltare solo 1 minuto e 30 secondi. Contatto il mio peggiore amico che mi dice "Cose che capitano" e mi tiene mezz'ora al cellulare parlandomi invece dei suoi problemi. Infine altri personaggi davvero okkei gioiscono per la mia ritrovata libertà. Mi invitano ad uscire, mi convincono che ora posso finalmente divertirmi, si ubriacano e poi mi salutano. Devono tornare ad illudere le loro rispettive compagne.

Per strada le donne sono tutte diffidenti, quando le incrocio sono sempre a guardare attentamente per terra, preoccupate di non pestare cacche di cani oppure al telefono, con i loro innumerevoli amanti. Sono in molte quelle che guardano fisso il punto di fuga. Ma le capisco, laureate in archittettura che valutano le prospettive dei palazzi o neomodelle che si stanno sforzando di camminare in linea retta. Allenamento per la passerella. Poi di quelle che se per caso mi trovo a camminar loro dietro, si fermano alla prima vetrina, fosse anche una macelleria araba ed osservano attentamente i prezzi dei tagli di carne, perché temono che io sia un maniaco sessuale violentatore che le sta pedinando. Stringono la borsetta con due mani quando le raggiungo e le sento trattenere il fiato mentre osservano con la coda dell'occhio le mie mosse. Ma state pur tranquille, mi fate schifo, ci tengo alla mia salute e non vi sfioro neanche con lo sguardo. Restate imprigionate nelle vostre paure che così si, vivrete meglio.

Al telegiornale dicono che è in forte aumento il numero di coppie che si conoscono su internet. Per chi ha orecchie c'è sempre da imparare dai telegiornali. Altro che legge bavaglio. Pare che ora, nel 21 secolo, gli incontri si fanno prima sui social network, si chiacchiera attraverso una tastiera sostituendo ch con k, per con x, più con +, rimuovendo le inutili vocali tra due consonanti e sbellicandosi di LOL. I più audaci con ROTFL. Ma quello non tutti lo capiscono. Ci si vede in bassa qualità con una telecamera a 0.5 Hz e ci si ascolta tagliando via le basse frequenze tanto non servono allo scopo; poi eventualmente si passa alla realtà non virtuale. Tant'è. Mi iscrivo quindi a diverse di queste piazze virtuali per far conoscenze. Completo il profilo con una mia foto e comincio a sfogliare i profili delle persone collegate.

Contatto un centinaio di donne scegliendo tra le più avvenenti in fotografia. Mi rispondono solo in due. Una di queste è un transessuale che mi propone di sperimentare nuovi limiti, dell'altra invece scopro in seguito che la foto nel profilo non è di lei in completino intimo bensì di una modella di Victoria Secret. Un'altra venditrice di illusioni a buon mercato. Tento di far conoscenza scrivendo "Ciao vuoi chattare?" anche se italianizzare questo verbo inglese mi fa venire la nausea. Ma l'insuccesso di questo inizio molto debole è evidente. Le frasi ad effetto le leggo nei commenti dei maschi alle foto delle loro prede: è un rimpasto sdolcinato-trash estremamente kitsch. Ed è sicuramente a questi che le frequentatrici dei social network rispondono. A questi maschioni che si ritraggono con ampi toraci depilati, seminudi ma con occhiali da sole e la mano maliziosamente posata sul pacco avvolto in bianchissimi slip firmati Roberto Cavalli o Giorgio Armani, coi muscoli scolpiti ed incapaci di evitare un'errore di ortografia in tre righe di testo. L'errore di ortografia è così trendy, così sexy! Che condensato di sfiga sociale.

E' difficile voltare pagina quando dopo c'è soltanto la terza di copertina.

lunedì 3 maggio 2010

Interruzione trasmissioni

Ci scusiamo con gli affezionati lettori ma il blog è temporaneamente sospeso, in attesa di momenti migliori.

mercoledì 24 marzo 2010

Lenta dissolvenza

Ultimamente devo essere morto senza però accorgermene. Il telefono non squilla più, niente più inviti, persino il mio principale a lavoro saranno due settimane che non mi piomba in ufficio a smollarmi del lavoro. Non che quest'ultima cosa guasti, ma fa comunque pensare. La mattina quando mi sveglio ho preso l'abitudine a recitarmi un "BUONGIORNO, BELLA GIORNATA EH?" per essere sicuro di avere ancora voce ed udito funzionanti. Pare di si. Allora non sono morto del tutto, forse sono solo intermittente, come le lucine degli addobbi natalizi: 20 secondi spente, 2 secondi accese. Più aldilà che aldiqua. Sono in lenta dissolvenza, fading out.

Ho iniziato a pensarci proprio ieri mentre facevo la fila dall'edicolante per comperare il biglietto dell'autobus. Ma altro che fila, questo deficiente è lì al suo posto ma io per lui semplicemente non esisto. Sta farfugliando qualcosa ad una ragazza con una capigliatura a caschetto un po' retrò e con valigia al seguito che è lì ferma senza né comperare né sfogliare giornali. Si sussurrano concetti. Siccome io ho fretta, mi muovo nel campo visivo del pesce lesso e gli lancio gelide occhiate ma quello continua ad ignorarmi. Io perdo l'autbous e lui lì magnetizzato dalla stronzetta. Pare che debbano flirtare proprio in questo momento. Allora invado lo spazio dell'inopportuno: l'autobus l'ho perso ma almeno sentirò le porcate che hanno da dirsi. Così capto il senso del discorso: lei gli stava chiedendo di tenerle da parte qualcuna di quelle riviste per deficienti, tipo Cioé o simili. Tant'è che lo apostrofa andandosene via "...e non venderle alle ragazzine!" e lui "Stai tranquilla, te li tengo da parte!". Povero ragazzo, brutto e con gli occhiali, non hai nessuna chance con caschetto-retrò, non vedi che è solo interessata alla sua collezione di Top Girl? Tu le servi solo per questo. Voglio dire... non avreste chance neanche come coppia: te sempre lì nel tuo chiosco e lei sempre di corsa in partenza per Milano. Il massimo che potreste concedervi è qualche quarto d'ora quando il treno è in ritardo. Perciò accidenti a tutti e due, speravo almeno nel finale coi botti invece i vostri sogni di coppia non si avvereranno. Come sempre, del resto, mica siamo in un film! Siete del tutto inutili, buoni solo ad intristire i passanti. Perciò amico svegliati, i violini non suonano più, ora c'è il mio brutto muso da affrontare, dammi sto cazzo di biglietto così mi liquido da questa scenetta opprimente.

Compro il biglietto inutile e torno a piedi. Molto razionale. Ma che senso aveva prendere l'autobus? Arrivare prima a casa, ovviamente, per poter cenare prima e così andare a letto prima, magari alzandosi poi prima la mattina per andare... si, per andare a lavorare prima, e poter rientrare a casa prima e... continuando così non potrei che arrivare prima persino all'appuntamento con la morte. Quindi calma, da adesso mi prendo tutto il tempo che voglio. Arriverò a casa tardi e cenerò tardi, almeno mi sembrerà di avere avuto una giornata bella piena. Tardi pure la mattina a lavoro lasciando immaginare ai colleghi le mie serate frizzanti. Non c'è più alcuna fretta. Riempirò il vuoto con ritardi. Forze per fare altro al momento non ce ne sono: i remi li ho ritirati in barca. Non ha senso remare sperduti in mezzo al mare quando non c'è porto verso cui navigare. Spengo del tutto le lampadine, che Natale è passato da un pezzo.

mercoledì 3 marzo 2010

Buonappetito

Cosa dire di quelli che mangiano da soli nei ristoranti? Che spesso poi sono anche quelli meglio conosciuti dal personale e dal proprietario: li vedete mentre arrivano, salutano il cameriere, il quale li fa accomodare sempre allo stesso tavolino da due posti e retoricamente domanda: "Cosa prende oggi, dottò?". Costoro non hanno bisogno di scorrere il menù e scegliere, già sanno cosa ordinare, perché il ristorante è sempre lo stesso e anche la varietà dei piatti nella carta dei cibi. Scommetto che sono gli habitué de "IL PIATTO DEL GIORNO". Quindi, inoltrata la prevedibile richiesta, aspettano l'ordine leggendo il giornale o fingendo di conversare al telefono per darsi un tono di importanza. Direi che c'è un perché a tutto questo.

Non è certamente facile né tantomeno piacevole entrare, sedersi, ordinare e mangiare sentendosi addosso gli occhi di tutti quelli che invece pasteggiano in compagnia di altri esseri umani, conversano, ridono e magari si fanno anche piedino sotto il tavolo. C'è poco da fare, amplifica il senso di solitudine. Mangiare da soli in un luogo pubblico è come dichiarare una momentanea sconfitta sociale: non si ha nessuno con cui condividere un momento della giornata in cui la stragrande maggioranza degli altri esseri umani che mangia fuori casa è in compagnia. Il che può avere diverse cause: l'essere in terra straniera, cosa mai totalmente piacevole (a meno di non essere turista ai tropici) ma, tolte le rare eccezioni, è una di quelle condizioni che tradisce difficoltà nelle relazioni umane. Neanche un amico o un collega di lavoro con cui dividere la pausa pranzo? La gente che vi vede da soli al ristorante già vi ha giudicato ed inquadrato, impossibile intentare un discorso di difesa: siete dei disagiati.

Ed allora eccoli, che tornano sempre allo stesso ristorante, ora che hanno familiarizzato con il posto e fanno finta invece di non avere problemi. Arrivano a convincersi che non è vero che sono da soli: loro conoscono i camerieri e il titolare quindi sono certamente più degni di sedersi al tavolo di chiunque altro. I camerieri lo sanno e li servono fingendo amicizia, perché di fatto sperano nella lauta mancia ma dentro, in cucina, se la ridono con i cuochi: "oh, c'è il solito... si anche oggi solo!".

I ristoratori poi ci mettono del loro cercando di far pesare di meno all'avventore solitario la sua triste condizione ma di fatto la enfatizzano ancora di più. Fate caso che i tavoli da due posti (ovvero da un posto) sono sempre alle estremità delle stanze, lungo le pareti, dietro gli angoli, dietro le piante ornamentali, mai in posizione centrale o luoghi dove è possibile vedere ed essere visti da gran parte della sala.

"Cerchiamo di far sentire a suo agio il cliente, sia se in compagnia sia se da solo", risponde il rubicondo gestore al perché del nostro inviato. Grazie, bel modo di risolvere il problema. Lasciare che i tristi solitari restino tristi solitari e vengano tenuti ai margini della "piazza" del ristorante altro non è che il loro modo di giudicarli diversi e quindi emarginarli.

Per porre un vero rimedio a tutto questo imbarazzo propongo di affiancare l'immagine dell'uomo solitario a quella del cane nel cartello "IO NON POSSO ENTRARE" che si appone all'ingresso dei ristoranti. Così sarà interdetto loro l'accesso e la smetterò di provare compassione vedendoli con lo sguardo perso dentro al piatto. Magari faranno amicizia fuori con i cani che non possono entrare. Che poi l'uomo solitario è proprio come il cane: anche lui è stato abbandonato in autostrada d'estate, quando tutti vanno a divertirsi. Ha le ore contate e morirà di sete o ben che gli vada investito da un TIR. Tanto vale che trascorrano assieme le vacanze in autostrada e per essere più compassionevoli facciamo che cani e i solitari possono, previa iscrizione all'associazione di categoria, entrare e consumare non più di un pasto al giorno, ma solo se non dormono dentro un Ducato e se si fanno almeno una doccia al giorno.

Io piuttosto di andare al ristorante da solo mi convinco che è meglio digiunare, tanto farà bene all'organismo. Oppure entro al supermercato e compro una confezione di biscotti al burro di arachidi, di quelli che con un paio ci sfami una famiglia intera di messicani. Alla cassiera che mi scruta col suo sguardo miope sorrido un po' forzatamente e dico che avevo dimenticato di comprare i biscotti per il té pomeridiano, poi mentre faccio ritorno al posto di lavoro placo i crampi allo stomaco mangiandone uno dietro l'altro fino a stare male. Punizione per non avere nessuno con cui andare al ristorante.

Per non parlare di chi cena al ristorante da solo. Dico la sera, quando il ristorante è frequentato da comitive di amici o al più da coppie di innamorati. Cenare da soli è proprio il massimo del disagio. La cena di lavoro non rientra negli schemi, quindi è inutile che vi difendiate con un "Io lavoro in proprio: sono impresario di me stesso e questa che sto facendo è una cena di lavoro". I camerieri vi riconsceranno al primo contatto visivo e se provate a fare i furbetti vi incalzeranno domande del tipo "Allora come vanno gli affari?" "Ah lei è uno scrittore? e di cosa parla il suo ultimo lavoro?". Sicché la cena diventerà un interrogatorio, capirete di essere stati smascherati e non potrete sfamarvi con calma. Mai pensare di essere più scaltri di chi vi serve il piatto.

lunedì 8 febbraio 2010

Cavallo stramazzato

Sala d'attesa del medico. Si apre la porta ed un'affascinante donna dalla lunga chioma nera, direi attorno ai 35 anni, mi invita con un bel sorriso e con fare molto elegante ad entrare dentro. D'improvviso Marvin Gaye inizia a cantare uno dei suoi fantastici pezzi Soul. Entro nella stanza ma l'avvenentissima scivola dietro di me e chiude la porta, lasciandomi solo con un uomo sulla cinquantina. Il medico presumo. Marvin smette di cantare.

- Prego si accomodi.
- Salve dottore....
- Mi dica, cosa c'è che non va?
- Vorrei che mi prescriva un test di fertilità.
- Mmmm. Da quanto prova ad avere figli con sua moglie?
- No guardi, non sono sposato.
- Si insomma... con la sua compagna.
- Non ho una compagna.
- Non mi dica che sta provando ad avere figli con un altro uomo?
- Ma no...
- Meglio, allora da quanto tempo è che prova ad avere figli senza riuscirci?
- In realtà non sto provando ad avere figli...
- C'è qualcosa che le fa credere di essere sterile?
- No. Direi di no.
- Quindi questo test...
- E' che voglio sapere se sono fertile. Tutto qui.
- Le cambierebbe qualcosa saperlo?
- In effetti no. Ha ragione. Scusi il disturbo, arrivederci.
- Arrivederci.
- Ah, no, senta. Mi misuri la pressione che non mi sento tanto bene.

- 130/80. Giovanotto, lei sta bene e mi sembra sano come un pesce.
- Mi dia qualche pastiglia per stare meglio. Che so io, qualcosa di galvanizzante...
- Qui di droghe non se ne prescrivono. Cos'ha, esattamente, che non va?
- Mal di vivere.
- Ce l'hanno quasi tutti. Sia più specifico.
- L'incertezza della navigazione a vista.
- Allora si ponga obbiettivi a lungo termine.
- Ma è impossibile...
- Non è impossibile giovanotto, basta volerlo.
- Lo voglio.
- Bene è già sulla buona strada, allora.
- Quindi le pastiglie per stare meglio...
- Guardi che imparare a vivere non si assume in pastiglie acquistate in farmacia. Ce l'ha un lavoro?
- Purtoppo si.
- Ma che purtorppo! di questi tempi, con la disoccupazione al 9%!
- Si ma non è un lavoro che mi piace.
- Senta, guardi me: volevo girare il mondo in side-car, vivere avventure sulla strada ma sono finito invece ad ascoltare le sue lamentele. Che le sembra? Ma io non sto qui a farne un'ingiustizia. Si rimbocchi le maniche, si ponga degli obbiettivi, lavori sodo e vedrà che tutto andrà per il meglio.
- Ha ragione. Grazie dottore. Arrivederci.
- Arrivederci. E si trovi una ragazza!
- Già... Mi scusi se mi permetto, ma come si chiama la sua segretaria?
- Segretaria?
- Lei non sente Marvin Gaye cantare quando la vede?
- Marvin CHI?
- Lasci perdere... la sua segretaria, la donna che mi ha fatto entrare qui dentro.
- Ma quale segretaria! Quella è mia moglie!
- Mi scusi tanto! Non avrei mai immaginato... è che è parecchio più giovane di lei!
- 15 anni per l'esattezza. E allora?
- Allora niente. Arrivederci.
- Bene, arrivederci.

Marvin Gaye è morto nel 1984. Ucciso con un colpo di pistola al petto, per chi non lo sapesse.

mercoledì 27 gennaio 2010

Lettera dal fronte

Si lavora tutta la settimana ma, cari miei, è a partire da venerdì che le cose si fanno interessanti. Giunge voce, infatti, che le consegne avranno luogo probabilmente venerdì in tarda serata ed uno stato febbrile inizia a serpeggiare rapidamente tra la gente. Sono l'uomo sul posto e vi descriverò pertanto gli eventi a partire dal pre-allerta. Dunque venerdì mattina gli ufficiali distribuiscono gli ordini ai sottufficiali i quali piazzano le vedette in posizione, colpo in canna e dose extra di eccitanti. Fuoco a vista su chi non risponde alla parola d'ordine (qualche sigla strana contenente le lettere C, M e K. Ma non provate ad usarla, l'intelligence informa che l'hanno cambiata). Durante tutta la giornata di venerdì si aspetta soltanto. Anche di sabato non accade nulla, ma che nessuno si azzardi ad abbandonare i posti di combattimento! Infine domenica mattina, verso le 5, con le sentinelle ancora ben sveglie ecco che accade. Inaudito, super entusiasmo! Il figlioul prodigo si lamenta col padre perché c'è stata più festa qui di quanta non se n'è fatta per il suo ritorno. Questa è Storia! Siamo nella Storia, quella vera, quella che entra nei libri che studiano i ragazzi nelle scuole! Domenica, com'è naturale, tutto il giorno ancora sul pezzo. Si respira aria da evento epocale. Ma dopo la prima ondata ecco una pausa e si attende la seconda... Attesa fobica e rabbiosa, con attacchi epilettici, convulsioni e schiuma alla bocca. Attesa col fiato tirato, da ultimo calcio di rigore alla finale della Coppa del Mondo. Attesa spasmodica, da centometrista sui blocchi di partenza con l'orecchio teso allo sparo. Attesa da prossima dose in vena.

Il sottoscritto si limita ad osservare col binocolo e resta in retroguardia. Diciamo pure imboscato. Non voglio essere contagiato da questa fobia generalizzata, ci tengo alla mia salute. Disillusione mista a disincanto e a maggior senso della realtà. Non condivisione di obiettivi e priorità con il resto della truppa. Che ci sto a fare qui? Farebbero bene a buttarmi fuori.

sabato 16 gennaio 2010

256 livelli di grigio

Ho in mente una serie di immagini e ve le descrivo.
La prima: buio fitto e silenzioso, non importa definire il posto. Uno specchio di grandi dimensioni e senza cornice cadendo da chissà dove arriva velocemente al suolo. Attimi prima dell'impatto il tutto rallenta in modalità slow motion. Ed è così che riesco a vedere come la sua superficie perfettamente liscia e levigata viene solcata da rapide righe che l'attraversano da parte a parte finché l'intera struttura esplode producendo il caratteristico suono del vetro infranto.

Avete notato che quando si rompe un oggetto di vetro la gente si gira più o meno inconsapevolmente a guardare cos'era? Qualche volta osservo gli occhi dei curiosi che si voltano e mi pare di intravvedere un lampo di tristezza per ciò che l'oggetto rotto era fino ad un istante prima, magari un elegante bicchiere di cristallo, e che ora è in frantumi, irreparabile. Prendetevela con il secondo principio della termodinamica.

L'altra scena ha una localizzazione più precisa. E' una steppa disabitata. Il sole pallido abbastanza basso sull'orizzonte non può assolutamente nulla contro l'intenso freddo che domina la desolazione. Le scarsa vegetazione è completamente congelata. Il vento gelido spazza la distesa e solleva finissimi cristalli di ghiaccio da terra che turbinano seguendo le folate. Questa immagine è così vivida che sento freddo nonostante mi trovi al chiuso. Oggi fa un freddo porco, altro che riscaldamento globale. Fa freddo, credete a me.

Cambio di scena, ora ci sono i palazzi grigi di periferia, possibilmente quelli da 10-15 piani, quelli che sembrano enormi scatole di scarpe messe in verticale e con le finestre.
Periferia in una giornata umida di tardo autunno ma attenzione perché non ci sono gli alberi a colorare di rosso e giallo con le loro foglie ormai staccate, no, non c'è il conforto della natura, seppur morente. Le rondini sono già migrate. I bambini non giocano a pallone, nessuno passeggia, le panchine sono pezzi di metallo arrugginiti che si godono le tonalità di grigio dei palazzi. Tutto qui? Si tutto qui. Diciamo pure 256 livelli di grigio.

L'ultima scena è più che altro un misto di sensazioni: il panico immediato del bambino quando realizza che ha perso i genitori nella folla frammisto a ciò che prova la preda quando, immobilizzata dal cacciatore, perde ogni speranza. Questo è ciò che provo e che, come tutto il resto, non so descrivere bene a parole.

Ah, dimenticavo. Sul muro del palazzone grigio un ragazzo col cappuccio, che non mi sembra Bansky a giudicare dallo stile dei suoi graffiti, ha appena scritto "IL PRECARIATO UCCIDE". "Bella scoperta!" gli ho gridato. Lui si è girato, mi ha guardato negli occhi e lentamente ha annuito con la testa. Ha capito che capivo.